Sachi Mitsuki - Il padrone di me stesso

Genere: nonsense - Raiting: giallo

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  1. Sachi Mitsuki
     
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    Nick dell’autore: Sachi Mitsuki
    Titolo: Il padrone di me stesso
    Tipologia: one-shot
    Lunghezza: 1068 parole
    Genere: nonsense*
    Avvertimenti: /
    Rating: giallo
    Credits: “Ana” è la contrazione di “anoressia”, non l’ho inventato, ma l’ho preso dai cosiddetti forum “pro-ana”, di cui, preciso, sono assolutamente contraria.
    Note dell'autore: *ho messo nonsense come genere per… alcuni motivi. Il primo è che in realtà niente di ciò che è qui rappresentato è reale, dal luogo ai personaggi che infatti non hanno nemmeno caratteristiche fisiche precise. Poi ci sono le contraddizioni. Quelle sono reali, ma è tutto come una grande proiezione mentale. È tutto fasullo e tutto vero. Mi sa che ho fatto più confusione di prima... sorry.
    Introduzione alla storia:
    Odio quando fa così.
    So esattamente cosa sta facendo.
    Mi sta valutando.

    Il padrone di me stesso



    “Alcune cose non si posso controllare.
    Semplicemente, accadono.
    In genere sono piccoli avvenimenti che, come minuscole crepe, feriscono quasi impercettibilmente l’esistenza. Sono quelle che ti fregano, perché nessuno si sognerebbe mai di tenderti una mano in situazioni così banali, così maledettamente comuni: una cena non riuscita, nonostante sia stata programmata con settimane d‘anticipo; un progetto che crolla in mille pezzi nonostante tutto l’impegno investito nel realizzarlo…
    Poi ci sono le grandi crepe.
    Si spalancano all’improvviso e tu non puoi fare nulla.
    Gli squarci si aprono senza preavviso e quelli intorno a te si allontanano. No, non fisicamente, però ti ripetono «Dai è una fase, passerà» oppure «Avanti comportati da uomo!» e tu rimani lì, schiacciato fra sguardi di totale disapprovazione o, peggio, di assoluta indifferenza. Tu sei lì e nessuno ti guarda. Nessuno ti vede veramente. Tutti ti dicono «Tutto ok?» o «Stai bene, vero?» aspettandosi risposte positive e tu vorresti gridare che no, non stai bene, che tu fai schifo, che il mondo fa schifo, ma poi menti e vai avanti perché loro non capirebbero, perché loro non vogliono capire“.


    «Che cazzo stai facendo?» grida strappandomi il foglio dalle mani «È così che occupi il tuo tempo? Scrivendo?!».
    Mi riparo il viso con le mani. Sto piangendo? No, un ragazzo non deve piagnucolare. Mi asciugo le lacrime e mi alzo in piedi, fronteggiandola «Sto solo seguendo un consiglio».
    Lei mi guarda con un’espressione scioccata in cui si riversa in un attimo anche una profonda delusione «Oh certo! Il maledettissimo consiglio di una strizzacervelli!».
    Indietreggio spaventato dalla sua reazione, ma un istante dopo il suo viso è di nuovo sereno.
    «Ti voglio bene» dice cingendomi il collo con le candide braccia «Lo sai, vero? È per questo che mi preoccupo per te».
    Annuisco, ma non ricambio l’abbraccio.
    «Che cosa c’è?» mi domanda sorpresa. Si allontana di qualche passo e mi osserva attentamente.
    Odio quando fa così.
    So esattamente cosa sta facendo.
    Mi sta valutando.
    «Non me lo dire» comincia rossa in viso per la rabbia «Non hai fatto i tuoi esercizi, vero? O forse ne hai eseguiti meno?».
    Abbasso la testa. Ha ragione. Lei ha sempre ragione.
    «Perché?» mi chiede socchiudendo gli occhi risentita. La sua domanda indignata è una stilettata nel cuore.
    «Dicono che ho un problema».
    Lei sospira e accarezzandomi il viso con le dita sottili cantilena «Oh… Daniel ha un problema… Daniel è troppo magro…».
    «Troppo?!» esclamo inorridito sollevando lo sguardo «NO! Non è affatto vero! Io ho tutto sottocontrollo!».
    «Perché ti arrabbi con me?» mi sorride dolcemente «Ho solo ripetuto quello che dicono gli altri»
    «Lo so» rispondo indispettito distogliendo lo sguardo «Però loro non capiscono, sono io che decido, sono io il padrone di me stesso» continuo raddrizzando le spalle. Ricordo di aver letto su un qualche sito che camminare in posizione ben eretta bruci molte calorie e io adesso ne ho un disperato bisogno. A pranzo ho mangiato troppo e non ho finito la mia serie di addominali. Dovrò correre per ore se voglio rimediare ai miei sbagli.
    Lei sorride compiaciuta. Sa a cosa sto pensando. È da quasi un anno che condividiamo gli stessi pensieri. Lei mi aiuta. Mi capisce. Mi sostiene anche quando i muscoli fanno troppo male e sento pulsare ogni parte del mio corpo come se fosse colpita ripetutamente da centinaia di coltelli affilati.
    «Agli altri non interessi» mi dice lei conducendomi per mano lungo un sentiero accidentato.
    Ha ragione. Lei ha sempre ragione.
    Siamo di nuovo ad un incrocio. Questo dedalo diventa sempre più intricato, ma non importa. Sono io il creatore di queste alte pareti di pietre grigie e rampicanti secchi. Eppure perché mi sembra che i corridoi siano sempre più stretti? Aggrotto la fronte confuso.
    «A loro non importa di te. Non ancora, ovviamente» continua interrompendo i miei pensieri «Ma nel momento in cui giungerai alla perfezione vedrai come ti invidieranno! Però, mio piccolo Dan» sussurra dolcemente la mia amante, la mia carnefice «Fai attenzione, il Niente può arrivare da un momento all’altro. Soprattutto ora che gli altri sanno chi io sia, tenteranno di portarlo allo scoperto, ma tu sei un uomo, vero Dan? Saprai avere il controllo della situazione?»
    «Certo» rispondo convinto «Io ho sempre il controllo».
    Terrò quel mostro chiamato Nulla al centro del labirinto della mia mente. Costruirò altre strade senza uscita e pareti impenetrabili. L’abominio non uscirà, nessuno potrà vederlo.
    Nemmeno io.
    «Come devo chiamarti?» chiedo all’improvviso fermandomi «Ho letto che il tuo nome significa letteralmente “senza appetito”, ma io ho sempre fame… Tutto ciò che è commestibile è un pensiero fisso, costante…»
    «Chiamami Ana» sorride stroncando i miei pensieri sul cibo.
    Davanti a noi, tra le siepi e i rampicanti, c’è uno specchio. Per un attimo, scorgo ciò che gli altri vedono di me: un corpo alto e troppo magro, con il viso scarno, gli occhi infossati e cerchiati da vistose occhiaie. È solo un istante. Poi Ana mi trascina via, lungo i sentieri tortuosi del mio labirintico mondo.
    Forse dormirò… sì, il sonno trascinerà via i crampi del mio stomaco vuoto. Dormirò…

    Dopo aver cullato il ragazzo fra le sue braccia, Anorexia straccia in mille pezzi lo sfogo scritto da Daniel. Non osa neppure immaginare cosa sarebbe accaduto se quei pensieri fossero stati tradotti in parole. Rabbrividisce. Daniel è suo e non ha la minima intenzione di lasciarselo sottrarre da psicoterapeuti e psichiatri vari. Continuerà a sussurrargli dolci parole e a rimproverarlo duramente, sobillandolo di tanto in tanto contro tutti coloro che, ancora, cercano di stargli accanto.
    Sorride, in fondo è stato facile avvicinare quel ragazzino insicuro. I traumi da lui subiti sono stati la chiave che le hanno permesso di aprire i cancelli della sua giovane mente e, in attimo, é riuscita a convincerlo a segregare al centro del labirinto della sua psiche quel grande Niente, quel vuoto assoluto scavato dalla sua mancanza di certezze.
    Ride pensando a quanto l’ombra del Nulla terrorizzi il ragazzo e, allo stesso tempo, lo attragga. È facile sfruttare la sua paura, le sue incertezze, ma dovrà fare più attenzione d’ora in poi.
    Facendo scomparire i residui della quasi-confessione di Dan, si domanda per quanto ancora potrà continuare questo gioco. Quanti mesi, quanti anni saranno necessari affinché Daniel si accorga di non essere più il padrone di se stesso, ma di essere divenuto soltanto un ridicolo burattino nelle scheletriche mani di Anorexia?
    «Molto…» sussurra lei languidamente «Oh… servirà molto, molto, tempo».
     
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