Elaitor - L'orto di Rani

Drammatico, Fantasy - Giallo

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  1. Elaitor
     
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    Nick dell’autore: Elaitor
    Titolo: L'Orto di Rani
    Tipologia: One-Shot
    Lunghezza: 1'181 parole
    Genere: Fantasy, drammatico
    Avvertimenti: -
    Rating: Arancione
    Credits: -
    Note dell'autore: Inizialmente volevo raccontare la storia dal punto di vista di un bambino ma ho cambiato idea, virando invece sulla versione retrospettiva di un adulto. Raccontare un quasi-horror con il vocabolario e la comprensione limitata di un infante si è dimostrato troppo difficile e mi lasciava troppi punti aperti per la conclusione della storia.
    Introduzione alla storia: Mamma diceva sempre di mangiare le verdure. Poi le verdure si sono mangiate mamma.


    La nebbia è sempre stata una costante nella mia vita, c’era già quando sono nato e sono convinto che continuerà ad esserci anche quando sarò morto. Mi sorprendo spesso a guardare quella fitta distesa grigia che nasconde il nostro fondo valle, nel mio caso da sempre, e ricordando i racconti del nonno cerco di immaginare come poteva essere la vita tra quei campi rigogliosi in riva al fiume. La nostra gente fuggì dalla nebbia quando il nonno era ancora giovane per insediarsi su questi alti e soleggiati pendii, erigere le terrazze su cui ancora oggi coltiviamo, e ricostruire così un’esistenza. In passato c’è stato chi ha voluto fare l’eroe e cercato di scoprire cosa ci fosse in quel bizzarro mare, da ultimo anche mio padre, ma a tutti è toccata la stessa sorte: non hanno più fatto ritorno.

    «Ci abbiamo già provato anche noi ma guardarla e basta non funziona.» mi diceva sempre Rani quando mi scopriva a sognare ad occhi aperti con lo sguardo rivolto verso la nebbia. Era il suo modo di prendermi in giro.

    Parlare di uomini bestia non è interamente corretto, sono molto più civili di quanto il termine darebbe a pensare, e Rani era una di loro. Un esemplare splendido oserei dire, dal manto completamente nero tranne una striscia bianca, che partiva dal mento e scendeva lungo la gola per fermarsi in una macchia a forma di stella sullo sterno, poco sopra il seno. Sono però colori che il suo popolo considera di cattivo auspicio perciò emarginata e consegnata alla mia famiglia, un po’ per punire noi perché abbiamo lasciato partire mio padre, e un po’ per punire lei e la sua innata natura ribelle e bellicosa. Alla gente del borgo piaceva scherzarci sopra, la definivano una questione di colore, ma a conti fatti si è rivelata una benedizione: Rani ci ha aiutato al posto di mio padre per molti raccolti dopo che la nebbia ce lo ha portato via.

    Avevo perso la mia figura paterna ma, per quanto fosse difficile renderci più fisicamente diversi di così, avevo guadagnato una sorella in quella creatura che a un comodo letto preferiva le piastrelle di pietra davanti al camino, si arrotolava per dormire, si vestiva poco anche nelle stagioni fredde e, cosa che ha sempre fatto impazzire mia madre, non ha mai imparato ad usare le posate a tavola. Le nostre giornate passavano a lavorare nei campi e ad accudire gli animali, oppure a caccia di selvaggina o in cerca di funghi. I raccolti non erano mai particolarmente abbondanti ma non ci è mai mancato nulla, e sono stati anni allegri.

    Finché Rani non mi scrollò dal sonno una notte di primavera, per mostrarmi qualcosa che le aveva evidentemente messo agitazione. La seguii barcollante alla finestra, dove mi indicò sull’altro lato della valle qualcosa che inizialmente non riconobbi, e mi ci volle un attimo perché i miei occhi assonnati riuscissero a mettere a fuoco il puntino luminoso che Rani mi stava mostrando.

    «Cosa pensi che sia?» mi chiese eccitata e curiosa come sanno esserlo solo bambini e gatti, la coda che ondeggiava da un lato all’altro.

    «La luce di una lanterna forse, o di un fuoco» risposi, cercando di restare calma.

    C’era davvero qualcuno sull’altro lato? Qualcuno giunto dal pendio opposto? Forse un sopravvissuto? Sarebbe la prima volta dai tempi dell’esodo che qualcuno è riuscito ad attraversare la nebbia. Valutammo diversi modi per tentare di entrare in contatto con chiunque avesse acceso quella luce, dando per scontato che si trattasse di persone, ma se anche avessimo svegliato i miei genitori nel cuore della notte per renderli partecipi della scoperta, avremmo comunque dovuto aspettare la mattina per agire in maniera concreta. Tornammo quindi a letto, senza però riuscire a dormire granché.
    L’indomani spedimmo un piccione viaggiatore in quella direzione e, quale gesto di buona fede, visto l’avvicinarsi della stagione della semina, allegammo al nostro messaggio dei semi. A quel punto non rimase che da attendere un’eventuale risposta, mentre ci occupavamo dei nostri campi ed orti.

    Il piccione ritornò circa due settimane più tardi ma senza alcun messaggio di risposta, soltanto una piccola borsa di stoffa contenente dei semi che, per quanto di forma ricordassero quelli spediti da noi, avevano un colore completamente diverso e, così sosteneva Rani, persino l’odore differiva da ciò che si poteva considerare normale. Si decise comunque di piantarli e la mia bestiale compagna di stanza si offrì di prendersene carico, scavando il proprio orto poco lontano dal nostro.

    «Lo scaverò a forma di stella» dichiarò allegra, picchiando fiera la mano contro la macchia bianca sul petto, «cosi sapranno tutti che è il mio».

    Non so cosa ci aspettassimo che crescesse da quegli strani semi, era evidente che non ne sarebbe cresciuta alcuna pianta normale, eppure riuscimmo a sorprenderci ugualmente nello scoprire che gli ortaggi dell’orto di Rani erano di un pallore decisamente innaturale, quasi bianchi. Avremmo dovuto bruciarli allora, prima che potessero rivelare la propria orribile natura. Sono sicura che Rani avrebbe dato l’orto alle fiamme di persona e persino volentieri, se lo avessimo chiesto, ma non accadde nulla di tutto ciò. La stella malefica, come la battezzarono in seguito, continuò a crescere, mentre la luce sull’altro lato della valle, semplicemente, una notte non ricomparve.

    Rani purtroppo si ammalò all’inizio del periodo del raccolto, quindi mia madre si occupò del suo mentre io del nostro. Quando posò i piedi su quel pezzo di terra, una fine nebbia si alzò dal suolo e le piante si animarono: zucche, melanzane, peperoni, si aprirono per rivelare fauci e aggredire mia madre. Accadde tutto molto in fretta e quando riuscii a raggiungere la scena non rimase granché da seppellire. Si formularono molte ipotesi sull’accaduto ma nessuna servì a metterlo in una luce migliore o a farci stare meglio, e Rani non si riprese mai da quel trauma, dal tormento del senso di colpa: era convinta che accadde a causa sua, che sarebbe dovuta essere lei in quell’orto e non mia madre.

    Il resto del paese purtroppo la pensava allo stesso modo e la perseguì al punto che riuscirono a farla esiliare dai nostri confini ma, anziché ritornare dalla sua gente, si incamminò verso il fondo della valle e scomparve nella nebbia, e nessuno la vide più. Mi sento di non essere riuscita a dirle abbastanza che mi dispiaceva, che non era colpa sua, che avrei preferito restasse perché potessi tenere almeno una delle persone alle quali volevo bene, anziché perderle entrambe, ma ogni possibilità è andata perduta quella mattina quando mi voltò le spalle e se ne andò.


    E’ passato molto tempo da allora ma nessuno si dimenticò di Rani, di cui ogni tanto racconto ai miei figli. Abbiamo tentato spesso di piantare qualcosa in quella pezza di terra poco lontana dal nostro campo di famiglia, ma qualunque cosa ci fosse nei semi portati da quel piccione deve aver avvelenato il suolo, impedendo la crescita persino dell’erba. Il suo orto rimase maledetto. E la macchia di nebbia a forma di stella, che sporadicamente appariva sul pendio dall’altro lato della valle e sempre in un posto diverso, continua a comparire.
     
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