Eli d'E - Mamma, perché...

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  1. Eli d'E
     
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    Titolo: Mamma, perché...
    Genere: Soprannaturale, commedia
    Avvertimenti: -
    Rating: giallo
    Credits: -
    Note dell'Autore: -
    Introduzione: Un incontro in piena notte. Tante domande. Poche risposte. E una tazza di latte caldo.



    La notte serpeggia fra le auto parcheggiate e i giardinetti punteggiati di piante striminzite dove languono giocattoli abbandonati. La luce dei lampioni penetra fra i rami dei giovani platani, le cui chiome imbiondite dall’autunno si spogliano lentamente.
    Una sagoma scivola rapida nel silenzio denso, evitando le pozze di luce. Al suo passaggio si ode solo un breve picchiettio e l’ansare stanco per la lunga corsa. Non ha contorni definiti, fluisce da una pozza d’oscurità all’altra, dissolvendosi in sfumature impercettibili che si fondono con il nero del mondo dei dormienti.
    Intorno, palazzine e villette disegnano una foresta di geometrie discordanti, dove i sacchi dell’immondizia si ergono come pietre miliari, nuovi confini di una realtà urbana.
    L’ombra scavalca con un balzo il cancelletto d’un piccolo edificio ed imbocca la scala esterna. La porta principale dell’appartamento al primo piano è chiusa a chiave, ma seguendo il balcone raggiunge quella del soggiorno, lasciata accostata. Dentro s’intravedono i profili degli arredi e il leggero riverbero delle luci della strada sui soprammobili.
    L’ordine è solo apparente: nel buio fitto che contorna gli arredi, scorge tracce del passaggio di chi, quella sera, si è mosso nella stanza. Segnali eclatanti e segnali minuscoli, come una carta di caramella finita nel vaso del ficus benjamin, una bottiglia d’acqua posata sul tavolino o una macchia minuscola sul bracciolo della poltrona.
    La casa profuma di famiglia, di pulito, di buono. C’è una vaga nota di dentifricio nell’aria, mista all’acido del pomodoro, al morbido della pasta un po’ troppo cotta, al frizzare pungente del bucato, allo sfrigolio degli orpelli tecnologici sparsi qua e là, al dolce dei biscotti.

    Biscotti?

    Quel profumo è troppo vivido perché sia stato liberato nell’aria da qualche tempo.
    L’animale drizza le orecchie e avanza circospetto, superando i cuscini del divano gettati a terra. Non fa rumore mentre si avvicina ventre a terra alla porta da cui filtra della luce ed un rumore basso, discontinuo. Annusa di nuovo e, sì, l’odore che ha sentito è fresco e proviene dalla stanza dietro quello schermo scuro. Il muso allungato s’infila nella stretta fessura e apre piano il battente. La luce lo abbaglia, dissolvendosi poco alla volta per lasciare posto a una cucina.
    Al tavolo siede una bambina, intenta a sgranocchiare un grosso biscotto al cioccolato. I lunghi capelli castani sono infilati nel colletto del pigiama tempestato di fiocchetti rosa e lilla, indossato a contrario. Un paio d’ingombranti pantofole pelose a forma di coniglietti dondola stancamente nel vuoto sotto la sedia.
    Fissa davanti a sé una tazza colorata avvolta in uno straccio. Sembra aspettare che si tramuti in qualcosa da un momento all’altro, ma il recipiente rimane identico a sé stesso.
    Si accorge della presenza sulla porta solo quando il lupo si raddrizza, emettendo una specie di starnuto.

    Che fai in piedi a quest’ora?

    Le pantofole continuano ad inseguirsi, anche se lei rimane immobile con il dolcetto tra le labbra.
    Il lupo avanza, la raggiunge. È così grande che i suoi occhi sono alla stessa altezza di quelli della bimba. I due si scambiano un lungo sguardo silenzioso. Poi, la piccola appoggia il biscotto sul tavolo e pulisce le mani sui pantaloni del pigiama.
    «Ciao» saluta con aria colpevole, intrecciando le dita tra le gambe.
    La creatura l’annusa con attenzione. Sbuffa mentre solleva una zampa per appoggiarla sul ginocchio della piccola. La bambina sorride osservando le falangi brune e unghiute, meno tozze di quanto sarebbero in un comune lupo. Le accarezza e in cambio riceve una leccatina sulla guancia. Ride e getta le braccia al collo dell’animale, stringendolo affettuosamente. Le piace molto il profumo di erba e muschio che emana, anche se la pelliccia è un po’ umida.
    Quando si stacca, è tranquilla, felice.

    Beh? Facciamo esperimenti alle quattro del mattino?

    Come se avesse udito la domanda, la piccola si giustifica:
    «Non riuscivo a dormire» e ripulisce il pigiama dalle briciole.
    Il naso del lupo punta in direzione della tazza, infagottata nello strofinaccio. Tiene un orecchio in avanti e l’altro mezzo cadente, come a mostrare perplessità.

    E quello?

    «Così il latte si scalda» spiega.
    Scuotendo il capo, la belva arretra un poco e siede sui posteriori. Scopre le zanne in una sorta di sorriso mentre solleva le zampe anteriori verso l’alto. La figura si allunga, si tende come se fosse fatta di gomma e non di carne ed ossa. La testa arriva a sfiorare il soffitto della stanza, facendo oscillare il lampadario un attimo prima di ricadere sulle spalle, vuota. La folta pelliccia bruna abbandona le estremità del corpo, dove appaiono mani e piedi nudi impiastricciati di terra. Due occhi dorati sorridono da un volto di donna. Un volto che somiglia molto a quello della bambina.
    «Bel tentativo ma credo di avere un metodo migliore» dice prendendo la tazza e dirigendosi ai fornelli. «Puoi smettere di dondolare i piedi? O finisce che cercherò di morsicare quei bei coniglietti rosa. Sono molto stuzzicanti, sai?» scherza.
    Ridacchiando, la bambina li agita con maggior foga, tenendosi alla sedia per non cadere.
    «Sei stata via tanto, mamma» osserva, allungandosi sul tavolo.
    Lei sospira scrollando le spalle. Ha ragione. Si concentra per qualche istante sul detersivo per i piatti che sta usando per lavarsi le mani. È vischioso come le bugie, quelle bugie che non riesce a dire a sua figlia. Neppure quelle buone che servirebbero ad allontanare le paure e i cattivi pensieri che la fanno svegliare durante la notte per divorare dolci.
    «Lo so, mi dispiace. I raduni non sono mai brevi quanto vorrei ed è vietato allontanarsi prima che siano terminati. Per questo non dormivi? Eri preoccupata perché non tornavo?» chiede, scrutandola da sopra la spalla.
    La testolina annuisce pigra, poggiata sulle braccia incrociate sul tavolo.
    «Perché io non posso venire?» si lamenta senza troppa convinzione, riprendendo a masticare il biscotto.
    «Nessun bambino è ammesso. Non potremmo discutere con calma se avessimo un branco di marmocchietti che si lamenta perché i nostri latrati non li fanno dormire».
    «Ma io sono sveglia» rimbrotta, aggiungendo uno sbadiglio sonoro e risentito.
    «Ah, lo vedo. Sveglia come un ghiro» commenta con un sorriso la donna versando il latte dal pentolino.
    In un attimo la sonnolenza sembra svanire nella bambina. Le labbra si sporgono in avanti, pregustando ciò che anelano da quasi mezz’ora.
    La donna lupo osserva in silenzio la figlia bere una lunga sorsata e inzuppare per intero ciò che resta del biscotto.
    «Perché neanche papà è venuto con te?» domanda infilando nuovamente la mano nella scatola.
    Il frollino prescelto però non ne vuol sapere di uscire e l’incarto lo asseconda. Comincia una battaglia a strattoni tra il braccio e il cartone.
    «Prima di tutto, non possiamo lasciarti sola. Non sei abbastanza grande per prepararti una tazza di latte caldo» osserva strizzando l’occhio mentre trattiene la confezione. «A papà piace stare con te la sera, visto che sta via tutto il giorno per lavoro. Gli piace mangiare la pasta con te, seduti sul divano, anche se io non voglio; si diverte a fare a cuscinate quando ho appena lavato le fodere; adora metterti il pigiama alla rovescia senza tirarti fuori i capelli…» elenca, passandole le mani dietro la nuca per liberare la chioma e rinunciando a sistemare la casacca. «E poi, papà non è un licantropo, lo sai».
    «Perché lui no e tu sì?» chiede rigirando la tazza tra le dita.
    Ora che è bella calda e il profumo dolce del latte si spande nell’aria, sente la stanchezza crescere insieme alla curiosità. In effetti, non ci ha mai pensato: è sempre stato normale essere a conoscenza di quel piccolo segreto di famiglia, ma solo ora si domanda perché i suoi genitori non siano uguali.
    «Beh, perché non ha la luna dentro di sé. Senza è impossibile… essere come me» replica la mamma, prendendo a sua volta un biscotto ed intingendolo nel latte.
    La trasformazione l’ha provata e le ci vorrebbe un bel boccone di carne per rimettersi in sesto, ma trova non sia il caso di fronte al tipo di fame che attanaglia sua figlia. E, dopo tutto, il tepore del latte che si mescola al dolce del cacao non è da buttar via. Tutt’altro: la frolla che si sbriciola mollemente sulla lingua le causa un brivido di soddisfazione che le fa emettere un brontolio sommesso.
    «E io? Io ce l’ho?» domanda speranzosa la bambina, gli occhi castani sgranati per l’emozione.
    La madre cerca per un attimo di vederla con le orecchie tese e la linguetta rosa che sporge fra i canini aguzzi. Sarebbe una graziosa lupacchiotta, anche senza i fiocchi che ama disseminare ovunque.
    Sorride pensierosa, masticando lentamente.
    «È ancora presto per dirlo. I tratti caratteristici si manifestano più avanti e anche allora non è detto che tu possa diventare un lupo mannaro».
    «Perché? I lupi mannari sono forti e io sono fortissima, no?» dice sollevando le braccia a mostrare una potenza inesistente.
    Poche ore prima ha aiutato il padre a lavare i piatti e lui le ha fatto i complimenti per averne spostati tanti, più di quelli che dovrebbe spostare una bambina di quell’età. Ovviamente scherzava, ma lei ha preso molto seriamente quell’affermazione.
    La donna la fissa allibita: ogni volta che le sembra di aver fornito una spiegazione sufficiente, ecco saltar fuori un’altra domanda e il sonno allontanarsi.
    «È la serata dei quiz per caso?» sbotta, sperando di farla desistere.
    Inutile.
    «Dai, mamma… perché non è detto che divento un lupo mannaro anch’io?» pigola.
    Le piacerebbe avere le zampe lunghe e la pelliccia marrone cioccolato come la mamma. Le dispiace solo che, come alcuni cani, non avrebbe la coda e non saprebbe dove legarsi quel bel fiocco rosso e bianco che ha preso dalla scatola dei cioccolatini.
    Sbuffando, la madre si rassegna all’ennesimo chiarimento. Preferirebbe evitarlo: non sono cose per una bambina di otto anni. Decide che le darà una versione meno impegnativa.
    «Bisogna affrontare l’iniziazione. E non tutti superano la prova».
    «Si fanno male?» chiede preoccupata.
    Due giorni prima è caduta dalla bicicletta sbucciandosi entrambe le ginocchia e il palmo della mano e non ha alcuna intenzione di provare di nuovo quel dolore insopportabile.
    Intuendo i suoi pensieri, la madre le fa una carezza e prende un altro biscotto.
    «No, affatto. Semplicemente devono trasformarsi e non sono molti quelli che riescono».
    In realtà le cose sono molto più complesse, l’iter è lungo e difficile, l’occhio vigile e inflessibile degli anziani è affilato come zanne invisibili. Prima che questi concedano il diritto di un tentativo, si deve percorrere una strada molto dura, snervante. Il gioco degli equilibri interni al clan pesa enormemente sulle possibilità dei giovani, ma dubita di poter chiarire ogni punto: sarebbe un’impresa titanica per entrambe visto quanto sono assonnate e stanche.
    «Ma non è la pelliccia che fa tutto?» dice indicando quella che la madre porta ancora sulle spalle. «Non devi metterla e tac! Ti… ti… illupisci?»
    Lei scoppia a ridere per quel termine inventato.
    «Illupisci… Magari! Ma se fosse così, tutti potrebbero diventare lupi, non credi? Bisogna meritare la benedizione della Grande Madre per essere scelti come suoi figli. Non basta essere forti o mangiare carne cruda tutti i giorni, ci vuole ben altro».
    La bimba arriccia le labbra, meditando. Nelle sue fantasie i licantropi passano le serate dei raduni giocando a nascondino e mangiando enormi hamburger senza patatine fritte – perché i lupi non mangiano verdure. Non ha mai pensato che potesse piacergli la carne cruda.
    Occorre ben altro però, per scoraggiarla.
    «Ma io mangio la carne cruda!» afferma decisa e orgogliosa.
    «Amore, per carne cruda non intendo il prosciutto crudo o la bresaola. Intendo proprio cruda… cruda» puntualizza con una smorfia eloquente.
    «Come il pollo nel freezer?»
    «Esatto. Come il pollo nel freezer o le bistecche che compriamo in macelleria, prima di metterle in padella»
    «Che schifo, è tutta molliccia. E sbauscia dappertutto» obbietta storcendo il naso.
    La donna ride ancora e le sposta una ciocca dietro l’orecchio. Una volta la pensava allo stesso modo, ma è stato molto tempo prima. A volte le pare di non averlo pensato affatto in tutta la sua vita.
    «Forza. A letto» la incita, spostando la tazza ormai vuota nell’acquaio.
    «Mi porti tu?»
    «Come? Guarda che i veri licantropi non si fanno portare in braccio nemmeno quando sono feriti a morte!» ribatte fingendosi sconvolta dalla richiesta.
    «Dai, mamma… io sono piccola!» piagnucola, tentando d’impietosirla allungando le braccia e sfoggiando una smorfia tenera quanto ruffiana.
    «E va bene, ma solo perché non hai la pelliccia. Quando diventi grande mi porti tu, okay?»
    «Okay» promette.
    Il muso torna a nascondere il viso mentre braccia e gambe tornano ad appoggiarsi al pavimento freddo in un ticchettare di artigli. Il grande lupo bruno si acquatta, permettendo alla piccola di salire sulla sua groppa. La piccola si tiene affondando le dita nel folto collare di pelliccia, stringendo le gambe per non cadere.
    Attraversano silenziose il corridoio, ascoltando il respiro profondo del padre, vinto dalla stanchezza. Si fermano ad osservarne il profilo ondulato, reprimendo il desiderio di gettarsi sul materasso e ingaggiare una lotta festosa. La sveglia suonerà di lì a qualche ora, non è davvero il caso.
    Nella cameretta è accesa una piccola luce color ambra che disegna arabeschi di stelline e mezzelune sui muri e sul soffitto.
    Con uno scossone, la madre fa ruzzolare la bimba nel letto. Lei s’infila carponi tra le coltri disfatte, recuperando Bigio, il lupo di peluche, compagno e custode dei suoi sogni.
    Intanto la donna ha ripreso nuovamente sembianze umane. Non ama augurarle la buona notte stando a quattro zampe. Vuole sincerarsi con le sue mani che sia comoda e al caldo.
    «Sogni d’oro, lupetta pigrona» dice sottovoce, rimboccandole le coperte con dita tremanti.
    Il bisogno di riposo comincia a farsi sentire con prepotenza.
    La bambina non risponde, è pensierosa. Accarezza distrattamente il muso del peluche.
    «Mamma?»
    «Sì?»
    «Tu sei contenta se divento una lupona grande come te?»
    Un sospiro le fa curvare le spalle. Si era illusa che i quesiti fossero finiti insieme al latte. Prova ad immaginare la sua piccolina come una lupa del clan. Grande, snella, fiera. La vede seduta fra le altre giovani femmine durante gli incontri, la luna piena che le riempie il mantello di strie argentee.
    Sarebbe bello condividere le notti con lei, ma c’è altro a cui pensare.
    «Sarò contenta di vederti diventare quello che vorrai. Un lupo, una ballerina, un medico. Anche una semplice cassiera come me. Basta che sia quello che vuoi davvero. E soprattutto che diventi una persona per bene».
    «E i lupi mannari sono per bene?»
    L’interrogativo è innocente, a differenza della risposta che meriterebbe.
    «Non tutti» ammette amara.
    Pensa alla discussione con il clan, alle punizioni decise durante la notte per i trasgressori. I più fortunati se la caveranno con qualche morso o il sequestro delle pelli sacre per qualche mese. Altri subiranno le conseguenze di atti vergognosi contro esseri umani, pagando con l’allontanamento dal clan o con la morte.
    La legge è ferrea; la pena per chi la dimentica, severa. Nei secoli in molti hanno pagato lo scotto delle loro intemperanze, arrivando persino a fomentare sanguinose rivolte nei branchi, eppure i Figli della Luna sono sopravvissuti per secoli in un mondo che ogni giorno si fa più violento e intollerante. Un mondo che, secondo lei, avvelena le anime dei suoi fratelli e sorelle, spingendoli ad azioni ignobili ed insensate contro il clan e contro la gente comune.
    «Esistono davvero i lupi cattivi? Come quelli delle fiabe?» domanda esterrefatta, balzando a sedere.
    La mamma le ha sempre parlato dei lupi –quelli mannari e quelli non – come di creature coraggiose e sagge, forti, altruiste. Pensare che esistano alcuni diversi da quest’idea la spaventa un po’: non vorrebbe che uno di questi andasse da loro per rubarle la bicicletta giù in giardino. O peggio ancora, le portasse via Bigio. O la mamma e il papà.
    Rattristata, torna a stendersi stringendo forte il giocattolo in cerca di conforto e la madre le aggiusta il colletto, seppur rovesciato.
    «Tesoro, io vorrei tanto che i lupi cattivi fossero solo quelli delle favole, perché basterebbe chiudere il libro per farli sparire» sospira, rimboccandole di nuovo le coperte. «Purtroppo, la verità è che ci sono anche nel mondo reale. Sono lupi che perdono la ragione e dimenticano cosa significhi davvero essere uno di noi».
    «E cosa significa?» sbadiglia.
    È un’altra di quelle domande che meriterebbe una lunga spiegazione, ma non c’è tempo. La notte scivola via veloce. La donna cerca le parole giuste, le più semplici e rapide per tranquillizzare la sua creatura agitata.
    «Significa essere custodi di grandi segreti e portatori di enormi responsabilità, non sempre piacevoli. Significa seguire il cammino della Nostra Madre celeste, guardando con onore al cielo. Sempre. I lupi cattivi non possono farlo».
    «Però qui non ci sono i lupi cattivi. Vero?» insiste, stropicciandosi gli occhi per scacciare il dolce richiamo dei sogni.
    La sua voce si è fatta più cantilenante, le palpebre faticano a restare sollevate. Le mani che l’accarezzano e le parole che la cullano, la risospingono dolcemente verso il colorato oblio del sonno interrotto.
    La donna capisce che ormai è arrivato il momento di porre fine ad ogni discorso.
    «Non in questa casa e non finché ci sarò io. Nessun lupo cattivo oserà mettere le zampe qui dentro con me e Bigio a fare la guardia» la rassicura, strofinando il naso contro il suo. «Buona notte, tesoro».
    «Auuu» ulula prima di abbandonarsi alle braccia della luna.
     
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